Interessante iniziativa ieri sera a Caltabellotta, promossa da ALPAA e FLAI CGIL Agrigento alla presenza di contributi di merito e importanti e qualificate presenze.
I lavori sono stati conclusi dal presidente Nazionale dell’ALPAA Gino Rotella, di cui proponiamo alcune riflessoni:
“Punto primo, le risorse. I 21 PSR regionali, quello nazionale e il Programma per la Rete Rurale prevedono una spesa complessiva pari a 20,87 miliardi di Euro: 10,44 provenienti dal bilancio dell’Unione Europea per lo sviluppo rurale e 10,43 da fondi pubblici italiani. Ulteriori risorse dovranno essere aggiunte dai privati. Domanda: il nostro paese, ossia il MIPAF e le regioni, sarà in grado di spendere per intero e ben finalizzate, le risorse disponibili? Nella precedente programmazione 2007/2013 non sempre è accaduto. Alcune regioni oggi devono ancora spendere parte della dotazione finanziaria non utilizzata che, con ogni probabilità, tornerà a Bruxelles. Domanda. Si riuscirà, con due anni ormai di ritardo sulla nuova programmazione, a indirizzare proficuamente le risorse per affrontare i problemi economici delle aree rurali, connessi alla salvaguardia del territorio e della biodiversità agricola, alla gestione delle acque, al contrasto dei mutamenti climatici, al ripristino degli ecosistemi agricoli degradati e, in particolare, all’ammodernamento dell’agricoltura italiana e alla ristrutturazione delle aziende?
Punto secondo. Nella gran parte delle regioni la programmazione 2014/2020 parte tardi, fuori tempo massimo. In alcuni paesi europei, come ad esempio Polonia e Portogallo, i programmi di sviluppo rurale sono stati approvati sin dal 2014. In ben 9 regioni italiane invece ciò è accaduto solo a fine 2015.
Se i produttori agricoli di Spagna, hanno potuto contare sin dai primi mesi dell’anno sulle misure dei PSR, quelli di Sicilia e Puglia (diretti concorrenti), se tutto andrà bene, potranno contarci con un anno di ritardo. Ma anche all’interno del nostro paese ci sono differenze, e come. Il gruppo di testa – Emilia Romagna,Toscana e Veneto – ha raggiunto l’obiettivo a maggio, seguito di qualche mese dal secondo gruppo – Lombardia, Marche, Molise, Sardegna e Umbria –. Sicché in alcune regioni i produttori agricoli hanno potuto cominciare a godere della programmazione dello sviluppo rurale, in altre no. Devono ancora aspettare. Fino a quando non si sa.
Si pensi ad esempio al primo insediamento giovani. Per quale strano destino i giovani di Toscana hanno già potuto partecipare al relativo bando per l’assegnazione delle risorse atte a favorire il ricambio generazionale nel settore agricolo e quelli di Calabria, Sicilia o Puglia, no? Perché questo ritardo? A cosa è dovuto? Per carità, non attribuiamone la responsabilità all’Europa. Che ne avrà certamente di sue, ma non anche quelle di doversi sostituire alle competenze degli assessori regionali e al ministero delle Politiche Agricole. Certo non siamo così ingenui da non capire la differenza delle condizioni di partenza legate ad un insieme di fattori. Ma è molto evidente però che tali differenze non giustificano assolutamente il forte scarto di tempo nell’applicazione dello stesso strumento di programmazione.
C’è dunque bisogno di mettere mano agli attuali meccanismi che regolano la gestione del secondo pilastro della PAC. C’è assoluto bisogno di qualcuno che fuori dagli schemi, purtroppo consolidati, abbia la forza di dire al MIPAF e alle regioni che la programmazione rurale (e agricola nel suo complesso), necessita di competenze adeguate per una gestione efficiente e qualificata.
Se il nostro Paese si trova in situazioni di debolezza rispetto agli altri e se alcune regioni manifestano più di altre evidenti criticità nel percorso di definizione dei PSR, non è frutto del destino ma di una evidente inadeguatezza a partecipare prima alla definizione delle normative europee e poi di applicarle in maniera coerente. Con evidenti limiti nell’agire istituzionale. A definire le regole europee partecipa il MIPAF, ad applicarle quelle regole sono le regioni. Con quale capacità di coinvolgimento? Con quale livello di coordinamento? Con quali risposte di partecipazione? Tutto ciò evidentemente chiama in causa la politica e come questa risponde alle sollecitazioni della società e in particolar modo delle organizzazioni di rappresentanza.
Dal canto nostro, – conclude Rotella – se non abbiamo le caratteristiche per partecipare ai Tavoli del confronto, dove si compiono le scelte, abbiamo però la voglia di non rinunciare ad esprimere il nostro punto di vista. Dunque non possiamo e non dobbiamo stare zitti sulle responsabilità di tanti attori politici e di governo (a tutti i livelli) che pur di salvaguardare privilegi e interessi specifici, spesso connessi a grandi lobby agricole, disattendono i legittimi interessi collettivi e dei piccoli produttori agricoli (che sono la maggioranza, ricordiamolo). Dobbiamo invece riprendere, nello spirito della recente Conferenza di Organizzazione dell’ALPAA, la nostra capacità di analisi politica, organizzativa, e anche di mobilitazione, per rimettere al centro del confronto i legittimi interessi dei piccoli produttori agricoli, dell’agricoltura civica e rurale”