Uno dei “punti forti” della finanziaria 2018, propagandato dal Governo, sul tema del lavoro e del suo costo, è il taglio temporale del 50% dei contributi 2018/2019/2020 e dal 2021 il taglio strutturale del 3%, con l’obiettivo di creare 300 mila nuovi posti di lavoro per i giovani sino a 29 anni, forse 32, con un finanziamento di due miliardi.
Sul punto c’è da sottolineare la ingiustificata euforia del Governo per la statisticata “crescita” dell’occupazione, arrivata ai livelli precedenti la crisi del 2008, con 23 milioni e 630 mila attivi, con la creazione di 918 mila nuovi posti di lavoro dal 2014 in qua.
Ingiustificata perché i nuovi occupati hanno, maggioritariamente, contratti poveri, con prestazioni precarie e persino con orario di lavoro giornaliero di due o tre ore, come, anche ad Agrigento, testimoniano, non solo, i compagni della Filcams.
Ed, ancora, euforia ingiustificata perché, non solo, sono aumentati i senza lavoro a quota tre milioni con prevalenza giovani e sud ma, anche, perché, come il Governo sa benissimo, ci sono 200.000 posti di lavoro in bilico, assoggettati alle trattative in corso al Ministero per le crisi industriali aperte in oltre 150 grandi imprese.
Tra l’altro, le cronache economiche nazionali ed internazionali ci allertano “sull’onda anomala” che si muove all’orizzonte verso la spiaggia del mercato del lavoro chiamata “rivoluzione robottica”, che impaurisce anche il lavoro ad alta specializzazione, stante che le nuove macchine robottizzate sostituiranno tanto lavoro umano, che non troverà facilmente alternative altrove, quindi, travolgendo gli attuali tassi occupazionali ovunque.
Il Governo, la classe politica e dirigente di questa “onda” in cammino non parla e non se ne preoccupa.
Al riguardo, saranno interessanti “le tre giornate del lavoro” che la CGIL ha convocato a Lecce, prima della Conferenza programmatica e del Congresso, per l’avvio di una ampia discussione e riflessione, anche, sul lavoro che cambierà ancora (industria 4.0).
In questo contesto la Confindustria non parla di investimenti, di ricerca, di innovazione, né di chiudere le vertenze aperte, ma si mostra scontenta per i “soli” due miliardi messi sul tavolo dal Governo per sgravi contributivi che dovrebbero produrre improbabili 300 mila nuovi posti di lavoro.
Improbabili perché i contratti a tempo indeterminato con tutele crescenti, varate da Renzi, non hanno intaccato il precariato, non hanno diminuito l’area della disoccupazione e, finiti i precedenti incentivi i licenziamenti sono stati quasi automatici.
Ma si sa la Confindustria non è mai paga, difatti, chiede 10 miliardi di decontribuzione strutturale con la “promessa” di creare 900 mila posti di lavoro in tre anni.
Serve ricordare che il sistema delle imprese, con le finanziarie 2015/2016/2017 ha ricevuto, in questi tre ultimi anni, 50 miliardi di sgravi e la libertà di licenziare, anche, senza giusta causa, con un risultato per il Paese di una crescita timida del suo PIL, più bassa in Europa.
I 50 miliardi di decontribuzione sono stati sottratti alle entrate contributive dell’INPS, così come questo Ente si è dovuto fare carico di altri 35 miliardi di evasione contributiva, di cui lo Stato si era resa responsabile non pagando all’INPDAP i contributi dei suoi dipendenti.
Se, in questi anni i Governi avessero finanziato, con 50 miliardi, una grande opera di manutenzione pubblica del sistema Paese ed avessero indirizzato i tagli non ai servizi formativi, sanitari e sociali, ma alle diseconomie gestionali, ai privilegi, ed agli sprechi, non solo, nelle pubbliche amministrazioni, l’esito sarebbe stato migliore sul terreno economico, sociale, dei disastri ambientali e della più generale competitività europea.