Una data che rimarrà certamente impressa nel nostro immaginario collettivo è quella del 5 marzo 2020, giorno in cui le scuole in tutta Italia venivano chiuse. Ricorderemo la reazione di ciascuno di noi a secondo del proprio ruolo e quindi del proprio punto di vista. Ecco: il punto di vista. Di chi, da docente,si è trovato immerso in quella che potremmo definire la “Tempesta perfetta”: scuole chiuse, didattica a distanza, pandemia…. Trascorsi i primi giorni, in cui la confusione è regnata sovrana, molti insegnanti hanno cominciato a contattare gli alunni con strumenti non sempre idonei, ma di facile accesso e disponibilità (come whatsapp) per poi passare, attraverso l’intervento delle singole scuole, anch’esse per lo più impreparate all’evento, a piattaforme digitali condivise con tutto l’ambiente scolastico. E ancora confusione… Le ore di lezione, in modalità sincrona (lezioni in video conferenza) e asincrona (con la registrazione delle lezioni da inviare alle classi virtuali) non finivano mai. E così ci si è resi conto, docenti e alunni, che alla mancata libertà fisica, causata dal lockdown, si aggiungeva anche l’impossibilità, paradossalmente, di porre fine, nell’arco di una giornata, alle ore di attività didattiche che superavano di gran lunga le tradizionali cinque ore di lezione tradizionale. E allora di nuovo ci si è rimessi in riga e i Collegi dei docenti, prontamente convocati online, hanno riformulato programmi, percorsi, orari… .E così fra tentativi ed errori, con una guida del MIUR traballante e incerta, si è arrivati a metà maggio a tre settimane dalla fine delle attività didattiche. Questo impegno volontario e continuo da parte dei docenti italiani, che fine farà? Sarà relegato tra le tante immagini che costellano questa tragica esperienza assieme ai carri dell’esercito, diventati carri funebri o assieme a quelle di medici e infermieri, bardati di mascherine, eroi nazionali di un popolo ma soprattutto di una classe politica che tende ad avere la memoria corta? Non a caso tra i settori che più hanno sofferto in questa pandemia sono stati la sanità e la scuola, proprio quei settori in cui i vari governi che si sono succeduti negli anni, hanno maggiormente risparmiato con percentuali di PIL ( 8,9% per la sanità, 3,9% per la scuola) inferiore alla media dei Paesi europei. E allora la CGIL agrigentina chiede al governo di avere fiducia nella sua scuola,di instaurare un dialogo con i suoi protagonisti e con il territorio in cui questa scuola si colloca. Una scuola dove il buon senso pedagogico prevalga sulle mode, sulle burocrazie e sugli eccessi amministrativi -normativi, che privilegi lo studente rispetto al curricolo, la domanda alla risposta e che sia in grado di garantire l’uguaglianza di opportunità a tutti i suoi studenti. Una scuola in cui nessun governo abbia paura di mettere veramente mano alla riforma Gentile e che sappia far emergere uomini e donne dotati non solo di conoscenze ma anche e soprattutto di strumenti critici per interpretare la realtà. Tali richieste valgono a maggior ragione oggi, nella consapevolezza che la conoscenza, il diritto all’istruzione e alla formazione rappresentano la precondizione necessaria per la ripartenza e per il futuro del Paese, per cui ancora di più a e con ancora più forza la CGIL chiede al governo, un impegno straordinario alla ripresa delle attività didattiche, al momento opportuno, “in presenza” in condizione di sicurezza e qualità e per il rilancio del settore attraverso un piano pluriennale di investimenti che consenta di recuperare ritardi e carenze rispetto alla media dei Paesi europei.
La Responsabile cultura/legalità Il Segretario Generale
Maria Concetta Barba Alfonso Buscemi